La Repubblica

Pensioni, più per cassa che per equità

Tommaso Nannicini
Lavoro/#pensioni

L’ennesima quota, francamente, ce la potevamo anche risparmiare. Non è che una misura ingiusta come quota 100 diventa giusta se la trasformi in versione bonsai, tagliuzzandola di anno in anno fino ad arrivare a questa versione di Quota 104.

Le poche risorse disponibili devono essere usate per aiutare chi è in difficoltà di fronte all’allungamento dell’età pensionabile, come chi non ha un lavoro o ha una disabilità, non chi fa un lavoro per niente gravoso e ha una storia contributiva robusta, che non gli fa temere niente per la pensione.

A questo giro, nel solito pendolo tra esigenze di cassa e spese facili a fini elettorali, hanno prevalso le prime. Forse anche troppo, perché ci sono alcune esigenze sociali, dagli anziani in difficoltà ai giovani senza contributi continuativi, che richiedono interventi forti.

Dagli annunci, par di capire che scomparirà il vincolo di 1,5 volte la pensione sociale per andare in pensione: bene, questo è un intervento giusto, perché qualcuno rischiava di non poter andare in pensione fino a 71 anni. Ma ora, per completarlo, serve una misura per tutelare i soggetti deboli che col contributivo rischiano di avere una pensione da fame.

Al contrario l’unificazione tra Opzione donna e Ape sociale, in attesa di conoscerne i dettagli, appare rischiosa. Di nuovo, è una scelta dettata più dall’esigenza di far cassa che di equità. Piuttosto che un fondo per interventi discrezionali e temporanei, per tutelare i soggetti fragili, serve una misura strutturale e ben finanziata: un’Ape sociale rafforzata con criteri chiari per mandare prima in pensione chi è in difficoltà e non ha abbastanza contributi.

Confermata invece la scelta di inserire incentivi per restare al lavoro. Ma per renderli più efficaci di quelli del passato servirebbero politiche che liberino il “tempo” senza togliere soldi. Per esempio, forme di part time defiscalizzato e con il Tfr in busta paga, che permettano di lavorare meno guadagnando più o meno lo stesso e senza rimetterci quando si andrà in pensione. Ma mi rendo conto che una misura di questo tipo richiederebbe anche un cambio nell’organizzazione del lavoro nel pubblico e nel privato. Superando la logica degli “scivoli” e passando a quella della “staffetta” tra generazioni, con i giusti trasferimenti di competenze.

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